Intervista a Gomez: il muralista di Caracas racconta la sua esperienza a Matera

da | 15/05/2019 | Street Art

Una mostra, ospitata dal museo di scultura contemporanea MUSMA di Matera, curata da Synchronos, ha visto esposte le opere realizzate dall’artista in situ nel corso di una permanenza di circa 6 settimane nella città dei sassi, Capitale della Cultura 2019.

Incontriamo Luis Gomez de Teran a.k.a. Gomez mentre è alle prese con un nuovo pezzo a Torino, realizzato nell’ambito del progetto TOward 2030. What Are You Doing  (ne abbiamo parlato qui), appena pochi giorni dopo l’apertura della sua mostra personale “Anche quando l’alba non c’era” nella suggestiva – e sopratutto unica – cornice del museo ipogeo di scultura contemporanea MUSMA di Matera.

L’artista, venezuelano di nascita, romano di adozione, vanta collaborazioni in città come Berlino, Barcellona, Londra e Mumbai. Ultimamente abbiamo anche visto i suoi pezzi in giro in diverse città d’Italia. Carriera da autodidatta, spazia dalla bomboletta agli acrilici, dalla tela al polimetalcrilato, Gomez sperimenta continuamente nuove tecniche e materiali. I suoi caravaggeschi dipinti hanno raccontato diverse storie legate alla tradizione, al mito, alle vicende personali di persone comuni. Sui suoi muri riecheggiano storie di artigiani e di operai in chiave di racconto mitologico o protagonisti della tradizione cattolica.

I rimandi al barocco sono inevitabili, non solo per via dei soggetti rappresentati, ma anche per l’uso ricorrente della luce e dei chiaroscuri, che nella scala urbana riescono a sortire un impatto notevole e una reazione di stupore nel passante occasionale. Peculiarità dei suoi lavori sono anche piccoli testi, a volte anche solo singole parole, che lo street artist di Caracas tiene a includere nell’opera, quasi a completarla e a solleticare lo spettatore nella sua interpretazione.

Incuriosita dal suo ultimo progetto a Matera sono andata ad incontrarlo

Presentati ai nostri lettori. Chi sei? Da dove vieni? Cosa fai?
Sono Luis, nato a Caracas e cresciuto nella periferia romana, che è un luogo complesso e straordinario per imparare a conoscere le emozioni, i contrasti, le contraddizioni di cui oggi parlo nelle immagini che realizzo. Nel poco tempo che mi rimane libero tento di costruire un uomo decente.

Raccontaci delle tue settimane di residenza nella Città della Cultura 2019.
Matera è bella, te ne accorgi mentre ti ci avvicini e te ne ricordi mentre te ne allontani. Nel mezzo, per me, ci sono state settimane altalenanti. Gli scultori, quelli veri, probabilmente sono abituati ai tagli che si infettano sulle mani, ai carichi che piegano la schiena e le gambe, alla polvere nel naso e negli occhi. Io invece mi affacciavo per la prima volta a una forma di scultura, sicuramente primordiale, ma di dimensioni considerevoli e in certi giorni mi ha distrutto. Per fortuna ci sono state persone che si sono accollate una parte di peso e il finale è stato entusiasmante. Probabilmente è la prima volta in cui sono stato felice di vedere le mie opere esposte, di questo devo ringraziare la direzione del Musma, sia per il coraggio di concedere a un novizio gli spazi di un museo di tale importanza, sia per aver saputo gestire i giorni di tempesta che abbiamo incontrato.

Di che parla la tua mostra?
Capita che nel percorso di una vita alcuni luoghi, o alcune persone, sboccino, trovino la loro identità e che diventi facile riconoscerne il valore. “Anche quando l’alba non c’era” parla principalmente di tutta la merda che va affrontata prima che questo accada.

Qual è il legame tra le opere in mostra nel museo e “la strada”?
“La strada” intesa come contesto di formazione psicologica, è centrale nelle opere in cui la figura umana subisce gli effetti di un contesto duro, che in un modo o l’altro diventa zavorra soffocante, da cui in un modo o l’altro diventa necessario cercare di tirarsi fuori.

Per i tuoi famosi chiaroscuri: rullo o bomboletta?
Solo pennelli. Gli spray quando posso li uso per fare altre cose.

Tre artisti che ti senti di consigliare ai nostri lettori (Caravaggio non vale!).
Roberto Ferri da guardare, Murubutu da ascoltare, James Frey da leggere.

Cosa c’è nell’automobile di Gomez?
La macchina alla fine diventa uno studio mobile, a seconda del periodo e dei lavori che seguo cambiano gli oggetti che ci trovi. Adesso, dopo la mostra a Matera ci sono soprattutto dune di cemento in polvere. Ovunque. Da sempre c’è però un oggetto che inspiegabilmente è riuscito a sopravvivere a ogni macchina che ho avuto da quando ho la patente, senza rompersi, andar perduto o essere rubato: il CD della colonna sonora di Braveheart.

Progetti futuri?
C’è un progetto a cui tengo molto e che si protrae da tempo, una mostra nella chiesa di San Silvestro al Quirinale di Roma. Spero possa vedere la luce entro l’anno. Poi ci sono tanti altri progetti, urbani ed espositivi, ma in questo momento non saprei elencarteli correttamente. Nel mentre spero di riuscire a lavare la macchina e metterci dentro uno stereo con la chiavetta.

Gomez

Curatrice indipendente, laureata in Architettura. Dal 2012 dedica la sua ricerca al rapporto tra arte e città. Scrive per Picame dal 2019.

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