Marco Grassi racconta il capolavoro che lo ha impegnato per 3 anni

da | 24/09/2020 | Arte, Interviste

Un dipinto imponente, che ha richiesto 10.000 ore di lavoro, 500 pennelli, 100 tubetti di colore a olio e 8 modelli, incluso l’autore stesso. Paradox of Evolution, presentata recentemente al pubblico attraverso i social, rappresenta ad oggi la massima espressione artistica di Marco Grassi.

La sua formazione è singolare. A 19 anni, dopo aver studiato ragioneria, si avvicina al mondo dell’arte iscrivendosi al corso di restauro presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna, dove impara le tecniche dei grandi maestri del passato e inizia a perfezionare il proprio stile da autodidatta. Un percorso che ha dell’incredibile se pensate che la sua prima mostra personale risale solo al 2013. Due anni dopo, mentre si trova nel suo studio, riceve la visita di Albrecht von Stetten di Ibex, che lo vuole fortemente nel suo roster di artisti e gli commissiona la realizzazione di un’opera unica, senza vincoli di tempo, dimensione e investimento economico. Probabilmente la più bella richiesta che un artista possa mai ricevere nella sua carriera.

 

Inizia così l’avventura – la definizione è più che consona, e capirete il perchè nelle righe seguenti – di Paradox of Evolution che, restrizioni permettendo, presto sarà esposta al pubblico. L’artista è già al lavoro sul prossimo dipinto ma ci ha dedicato un po’ del suo tempo rispondendo ad alcune domande che gli ho rivolto.

Ciao Marco. Cosa rappresenta per te e per il tuo percorso artistico Paradox of Evolution?
Per ora si tratta sicuramente del mio dipinto più importante, per dimensioni, contenuti e sforzi. Si tratta di un grande passo per la mia carriera, un’opera che ha scandito a livello artistico e personale un momento preciso della mia vita. Perseguo da anni la ricerca della più alta qualità pittorica possibile, elemento in cui credo fortemente e che nel passato recente è stato largamente ignorato, e per fare ciò sono necessari tempi di realizzazione estremamente lunghi e molta dedizione. In questo tempo avrei potuto fare 15 o 20 dipinti, ma la mia intenzione era quella di lasciare qualcosa di unico e forse irripetibile.

Ciò che impressiona, al di là delle dimensioni e del grado di dettaglio, è la leggerezza dei soggetti, che sembrano come sospesi. Ricerchi volutamente questa sensazione?
Si, l’effetto è accentuato dall’assenza del contesto ambientale che enfatizza un’idea di infinito e spazio indefinito. Oltre a questo la scelta dei soggetti è caduta su personaggi danzanti, che compiono gesti leggeri e in continuo movimento, come un moto universale che vede protagonisti la sfera umana, quella quella terrestre e del mondo animale, che non si ferma mai e cambia costantemente, muta davanti a noi e che a volte fatichiamo a comprendere.

L’opera è stata ultimata nel 2018, come mai hai atteso altri due anni per presentarla al pubblico?
Semplicemente perché era in programma di rivelare il dipinto durante un evento fisico, un’esibizione che si sarebbe dovuta tenere a New York ad aprile di quest’anno, ma purtroppo dopo i fatti che tutti conosciamo è saltato tutto e ho deciso di mostrare il dipinto sui miei canali social, nella speranza di poterla esibire dal vivo in un futuro breve.

Ho impiegato circa 10.000 ore per realizzare l’opera. I primi tredici giorni sono serviti per la preparazione della tela, che è di pregiato lino belga, acquistata a Firenze. Dodici porzioni del dipinto sono state rimosse e ridipinte completamente durante il processo, così come lo sfondo, che ho deciso di cambiare quando ormai il dipinto era praticamente ultimato. Per sei mesi ho lavorato seduto sulla sedia a rotelle per via di una frattura.

Nelle tue opere l’iperrealismo incontra il surrealismo, c’è quindi un aspetto creativo che va oltre la meticolosa riproduzione di un’immagine. Da dove nasce l’idea di contaminare i soggetti dei tuoi quadri e che messaggio vuole veicolare nell’osservatore?
Si, credo che per un’artista sia fondamentale trovare la propria identità e il proprio linguaggio espressivo, poiché la personalità è ciò che più ci caratterizza, al di là delle decisioni che ognuno può prendere di volta in volta. La contaminazione dei corpi nasce da un’idea di fusione tra il soggetto e altri elementi che possono raccontare o descrivere parte di noi stessi, del nostro carattere o più semplicemente della natura umana, sono metafore della personalità. La porcellana ad esempio, che in alcune parti si impossessa del corpo del soggetto raffigurato crea un contrasto tra la carnalità dello stesso, che ne identifica la purezza e l’interiorità , con aspetti connessi all’apparenza e all’esteriorità, bellissima esteticamente, ma allo stesso tempo fragile, vuota e fredda.

Come scegli i soggetti e le metamorfosi a cui li sottoponi?
I soggetti sono sicuramente fondamentali per poter trasmettere al meglio il messaggio che si vuole trasmettere, ma nel mio caso è sempre stata una scelta di impulso, di intuito. Sono infatti solito scegliere i soggetti in maniera molto occasionale, mi è capitato spesso di incontrarli per strada o in un locale, poiché intuivo avessero qualcosa di speciale per me, in cui potevo sia rivedere me stesso, ma allo stesso tempo trovare in loro qualcosa che completasse aspetti del carattere che non possiedo e che mi attirano molto. Riguardo la trasformazione dei corpi, questa è spesso dettata dal tipo di idea che si vuole trattare all’interno del dipinto, è un processo molto naturale ed è guidato anche da aspetti legati all’armonia dell’opera che non va mai sottovalutata, per poter ottenere un risultato che trasmetta armonia e grazia.

Che ruolo gioca la componente psicologica nell’estetica dei tuoi dipinti?
Uno dei caratteri primari della mia pittura è quello di provare a suscitare emozioni nell’osservatore, un tipo di emozione recondita, che ci fa apprezzare un’opera ancor prima di essere condizionati da aspetti connessi ad un tipo di influenza inconscia che abbiamo di fronte ad artisti conosciuti o a giudizi di altre persone. Come prova per capire se si tratta un’opera rilevante per me,  provo sempre ad immaginarla come il prodotto di un’artista sconosciuto in un mercatino di paese, e se questa mi suscita emozioni, o mi fa ragionare su aspetti nuovi che mi possono stimolare il pensiero, allora personalmente la ritengo un’opera di valore. E per me più che la bellezza in sé, che rappresenta solo un canone da noi stessi autodefinito, provo a ricercare aspetti più universali come l’armonia delle forme e l’eleganza della composizione, che fanno sicuramente parte del mio essere.

“In tre anni avrei potuto fare 15 o 20 dipinti ma la mia intenzione era quella di lasciare qualcosa di unico e forse irripetibile.”

Stupisce che fino all’età di 19 anni tu non abbia mai approcciato all’arte in senso pratico. Pensi che il tuo talento sia qualcosa di innato o che sia il frutto di tanto lavoro?
Credo che sia un mix delle due. È vero che ho iniziato relativamente tardi a dipingere, ma fin da piccolo ho sempre avuto enorme passione per l’arte e quando avevo un pò di tempo libero mi dedicavo al disegno. Senz’altro c’è una predisposizione innata, ognuno di noi ha una dote in un qualche settore, ciò che conta è riuscire a capirlo al più presto. Poi il lavoro e la dedizione sono aspetti fondamentali, senza di quelli non è si migliora, e il mio obiettivo è quello di migliorare costantemente. Purtroppo si pensa spesso che un’opera sia composta da tecnica e contenuto, ma non è così, vi sono innumerevoli altri aspetti che volutamente o inconsciamente partecipano in maniera attiva a ciò che sarà il risultato finale, come la nostra personalità, le nostre passioni, i nostri amori e le nostre paure, la sensibilità, le esperienze che abbiamo avuto e le persone che abbiamo incontrato nella nostra vita ecc… e per entrare davvero in un dipinto, sono tutte caratteristiche che bisogna sforzarsi di leggere.

È vero che costruisci in casa i pennelli, come quelli composti da un solo pelo che servono per dipingere capelli e altri microscopici dettagli?
Si è vero, mi è capitato di realizzare un pennello mono-pelo per poter dipingere quella polverina presente sulle ali delle farfalle. Adesso ho anche in progetto di lanciare la mia linea di pennelli dedicati ad una pittura di qualità iper dettagliata, è ancora in fase di sviluppo, ma spero di poterla concretizzare a breve.

Ogni tuo dipinto richiede molti mesi per essere ultimato. Cosa comporta il passare così tanto tempo in studio?
Non è per tutti, bisogna avere sempre un livello di concentrazione e dedizione elevatissimi. Non posso negare che a volte sia frustrante poiché la mente viaggia ma le mani non riescono a tenere il passo. Spendere mesi, o anni su un singolo dipinto ti costringe ad acquisire un livello di autocontrollo fuori dal normale, che sicuramente fa parte del mio carattere, ma ho dovuto modellare un pò le mie abitudini a questo tipo di attività. Ma quando mi fermo a ragionare se tutti questi sforzi siano indispensabili, penso sempre che ciò che conta sia il risultato finale, ciò che davvero conta è solo ciò che facciamo in vita, e la soddisfazione di portare a termine un lavoro di questo tipo personalmente non trova eguali in nient’altro.

Lavori su una sola opera per volta o ne porti avanti diverse contemporaneamente?
Solitamente lavoro su un dipinto alla volta. Mi piacerebbe poter lavorare su più  tele contemporaneamente, ma poi si allungherebbero ulteriormente i tempi di esecuzione di ciascuno di essi, e quindi preferisco concentrarmi su un solo dipinto.

“Mi è capitato di realizzare un pennello mono-pelo per poter dipingere la polverina presente sulle ali delle farfalle.”

Ascolti musica mentre lavori?
Si, praticamente sempre, mi aiuta a stare concentrato e mi stimola molto nel momento della progettazione di nuovi lavori. Ascolto praticamente di tutto, non ho alcun genere preferito.

Non ho potuto fare a meno di notare che nelle foto di Paradox of Evolution e di altre tue opere che ritraggono soggetti femminili sono stati nascosti i capezzoli. Siamo davvero a questi livelli di censura anche nel mondo dell’arte?
Purtroppo si, la censura è un problema molto grande per chi vuole mostrare la propria arte, ma soprattutto per coloro che vogliono fruire del dipinto nella sua interezza senza fastidiosi e poco sensati procedimenti di censura. È una posizione che ovviamente non condivido, ma purtroppo le regole dei social non consentono molte alternative e si è costretti a doverle seguire. Mi auguro che si arrivi a comprendere, cosa che non trovo particolarmente complessa, l’enorme differenza che vi è tra pornografia e corpo umano inteso come prodotto naturale di eterna bellezza.

Com’è nata la tua collaborazione con Ibex e come ha cambiato il tuo percorso nel mondo dell’arte?
É nata nel 2015 quando si è presentato nel mio studio Albrecht von Stetten, un personaggio incredibile e ambizioso che mi ha fatto una proposta altrettanto straordinaria, chiedendomi di realizzare un’opera al massimo delle mie possibilità, senza limiti di tempo o vincoli economici, garantendomi così la possibilità di potermi dedicare per ben 3 anni su un dipinto di enormi dimensioni e di grande complessità, che molti ad oggi ritengono il mio capolavoro: Paradox of Evolution. Si è trattato di un’occasione fantastica che pochi hanno avuto la fortuna di avere, e sarò sempre riconoscente per questa opportunità. Questa esperienza ha cambiato le mie prospettive e mi ha allargato gli orizzonti delle possibilità, ma anche l’opinione del pubblico che fino ad allora aveva avuto occasione di vedere solo opere di medio- grande formato, ma mai di grandissimi dimensioni. Questo mi ha consentito di elevarmi ad un livello superiore da un punto di vista artistico.

Hai dichiarato di non essere un artista che si affeziona troppo alle proprie opere. C’è n’è tuttavia una a cui sei particolarmente legato e che di conseguenza non è in vendita?
Si è proprio così, non sono mai triste quando devo separarmi dai miei dipinti, semplicemente perché mi stimola l’idea di separarmene per poterne poi fare di migliori la volta successiva, e la mia ossessione per un perfezionismo pittorico non mi rende mai soddisfatto al massimo, per questo ho sempre un parere super critico verso me stesso. Ho ancora a casa un paio di dipinti che ho realizzato all’inizio della mia carriera che non credo deciderò mai di separarmene, tra l’altro uno è un paesaggio di una veduta delle campagne vicino casa mia.

“Mi auguro che si arrivi a comprendere l’enorme differenza che vi è tra pornografia e corpo umano inteso come prodotto naturale di eterna bellezza.”

Condividi spesso foto e work in progress dei tuoi lavori. Ritieni che per un artista sia importante la presenza sui social media?
Al giorno d’oggi è una delle cose più importanti per potersi ritagliare un pò di visibilità e farsi conoscere al pubblico, è uno strumento essenziale per far crescere il proprio personal brand. Non dimentichiamoci che anche tutte le gallerie più importanti al mondo utilizzano queste piattaforme per arrivare ad un pubblico maggiore e casomai distante geograficamente, che non ha la possibilità di poter osservare i dipinti di persona e forse mai l’avrà, a maggior ragione in questo periodo.

Musei digitali e nuovi modi per fruire l’arte a distanza, cosa è cambiato nel mondo dell’arte dopo lo scoppio della pandemia?
Credo che comprenderemo meglio la risposta tra qualche tempo, ora siamo ancora nell’occhio del ciclone, ma i primi cambiamenti sono molto visibili. La pandemia ha solo accelerato un processo che era già in atto da tempo, quello della digitalizzazione e delle relazioni a distanza, soprattutto via social, dei soggetti interessati. Credo che nasceranno anche altre modalità di fruizione, probabilmente in direzione di una realtà aumentata, che anche a distanza permetta di poter fruire l’opera al meglio.
Non voglio mettere a confronto un evento fisico e uno virtuale poiché il primo è infinitamente migliore ai fini di una comprensione dell’opera nella sua interezza, vederla dal vivo non è come vederla su uno schermo, ma li vedo procedere in maniera parallela e in certi casi alternativa, non devono essere necessariamente in contraddizione tra loro. Voglio dire, chi di noi si può permettere di viaggiare in Cina o in America solo per andare ad una mostra che gli interessa vedere, il digitale ti consente di entrarci all’interno senza sforzi e questo per me è un vantaggio incredibile, sicuramente qualcosa in più.

Su cosa stai lavorando in questo momento?
Adesso sto terminando un dipinto che a breve sarà visibile sui miei canali, e poi valuterò cosa fare dopo, ho già un paio di idee, una semplice e una complessa, ma credo andrò su quella complessa.

Marco Grassi | @marco.grassi.painter

 

“Paradox of Evolution”, dettagli – Marco Grassi

“Mother of Pearl” – Marco Grassi
“Mother of Pearl”, dettagli – Marco Grassi

“Focal Point” – Marco Grassi

Designer e art director, è fondatore e direttore di Picame dal 2008 e co-fondatore di fargostudio.com, agenzia specializzata in design e comunicazione.

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