Brian Rea ha scritto e illustrato un libro contro lo stress che tutti dovremmo leggere

[English version along the post]
La Morte lavora senza sosta e ha accumulato un sacco di ferie arretrate così il dipartimento delle Risorse Umane la costringe a prendersi una lunga vacanza.
Decide di trascorrerla nel mondo dei vivi, incuriosita dalle loro abitudini: viaggia, si iscrive al college, va al museo e in moto, fa la spesa e cucina biscotti, fa surf, insomma, è decisa a provare tutto e, una volta tanto, a vivere!

Il resoconto di questa avventura è raccontato in Death Wins a Goldfish: Reflections From A Grim Reaper’s Yearlong Sabbatical, che esce ufficialmente oggi per la Chronicle Books di San Francisco. Il primo libro come autore completo dell’illustratore di fama internazionale Brian Rea.
Si tratta di un silent book la cui narrazione ha la struttura di un diario illustrato che racconta le peripezie vacanziere della Morte ed è, nonostante l’insolita protagonista, un vero inno alla vita. Attraverso la meraviglia e il piacere che la Morte prova nel fare esperienze per lei del tutto nuove l’autore vuole farci riscoprire l’importanza delle piccole e grandi gioie che la vita può offrire ma che spesso ci perdiamo perché distratti e assorbiti dalle nostre responsabilità quotidiane. Brian ha creato una favola moderna che ci rivolge un invito molto chiaro:

La vita non è solo lavoro e stress, ogni tanto tira i remi in barca e prenditi una pausa”

Lo stile naive, quasi infantile, non deve trarre in inganno. Dalla semplicità del segno emerge tutta la brillante intelligenza ironica di Brian, paragonabile alle genialità di Saul Steinberg o, per fare un esempio italiano, alla felicità inventiva di Guido Scarabottolo.

Di origini per metà irlandesi e per metà italiane, Rea è cresciuto nel Massachusetts e ha studiato al Maryland Institute College of Art. Ha iniziato la sua carriera al New York Times, prima come collaboratore e poi in qualità di art director per cinque anni. Attualmente vive e lavora a Los Angeles, vicino all’oceano. Ha esposto le sue opere in tutto il mondo e le sue esperienze includono anche l’animazione e la realizzazione di poster, murales e installazioni. Insegna all’ArtCenter College of Design di Pasadena, California. Sue sono le illustrazioni che caratterizzano la rubrica Modern Love del New York Times.

Ho voluto celebrare l’uscita del libro facendo qualche domanda a Brian per approfondire il tema e scoprire qualcosa di più sul suo lavoro.

Ciao, Brian. Nel tuo libro la Morte è il personaggio principale, anche se è solo un pretesto letterario. Considerando la tua esperienza personale e il tuo lavoro di illustratore per il New York Times, come pensi sia cambiata la tua percezione della morte?
Ci penso di più. Leggere e illustrare ogni settimana la rubrica Modern Love sulle relazioni tra le persone, l’amore e la perdita di persone care mi ci fa pensare spesso, ma diventando un po più grande e avendo avuto un figlio, ora mi sento più riflessivo. Tutte queste cose mi hanno aiutato a cambiare la mia percezione, sono uno stimolo a godermi le cose più importanti della mia vita con il tempo che ho. Essere presente quando non sono in studio, sorridere, apprezzare gli altri, questi sono ora i miei grandi obiettivi. Lavorare sul libro ha probabilmente aggiunto questa consapevolezza. Anche se la morte è il personaggio principale, in realtà il messaggio è prendersi del tempo e lavorare di meno. Spero che il libro fornisca questo stimolo anche agli altri.

Quindi il tuo libro suggerisce che dovremmo goderci di più la vita ed emanciparci dall’idea che la nostra esistenza sia votata al lavoro. La tua creatività è influenzata da scadenze e problemi lavorativi?
Non sono tanto le scadenze quanto la tendenza a vedere i problemi e le ansie della vita come una corrente sotterranea nel mio lavoro. Per la maggior parte provengono dalle mie esperienze personali alla ricerca di quell’irraggiungibile equilibrio tra vita e lavoro. Io onestamente non l’ho mai trovato, in parte perché mi sembra di pensare continuamente a qualche progetto (mia moglie lo chiama “fuggire sull’isola“). Quindi anche se non avessi le scadenze continuerei a fare o pensare al lavoro. È la benedizione e la maledizione di avere una passione che diventa una carriera. La cosa pazzesca è che non lo farei in nessun altro modo. È quello che amo. E suppongo che anche altri fuggano su quella stessa isola.

Hai qualche suggerimento da darci per mantenere e coltivare la nostra indipendenza creativa?
Penso che l’idea di indipendenza creativa sia diversa per ognuno di noi, certamente la mia è cambiata nel tempo (nel passaggio da New York alla California). Per alcuni essere finanziariamente stabili può portare all’indipendenza creativa, per altri è semplicemente ottenere delle buone opportunità ogni giorno e avere controllo sul percorso del proprio lavoro. Indipendentemente dal modo in cui venga valutata penso che l’indipendenza creativa voglia dire dire un sacco di duro lavoro per arrivare a quel luogo invidiabile in cui puoi fare ciò che ami. Non credo che esistano scorciatoie. Per me l’equazione è la stessa da sempre: trova la cosa che ami veramente fare, più di ogni altra al mondo, e poi costruiscici la tua vita intorno – quello che leggi, che indossi, che fai, i tuoi amici, i familiari, il tempo libero la tua casa – fai che l’essere artista diventi il lavoro della tua vita. Senza compromessi.

Digitale VS analogico. Quali strumenti preferisci?
A N A L O G I C O, ma adoro Photoshop. Sarei perso senza.

Cosa c’è sulla tua scrivania?
Libri, caffè, 4 scatole di matite 3B, inchiostro, la mia lista delle cose da fare, schizzi su 3 progetti attuali, una serie di dischi rigidi esterni, una copia di Living on Earth di Alicia Bay Laurel, blocchi da disegno (adoro questi blocchi quadrati da 25 cm) e un temperamatite elettrico Panasonic che ho “soffiato” al NYTimes.

Quanto è importante per un artista la presenza sui social media?
La vedo come una cosa positiva per avere una presenza attiva, anche se non sono più un invasato che scrolla e controlla continuamente i sui feed come una volta, il che è probabilmente una buona cosa. Ho un approccio abbastanza diretto: condivido nuovi progetti una o due volte alla settimana e mi connetto con le persone che apprezzano ciò che faccio. Instagram è il social che fa per me, ma per altri potrebbe funzionare un’altra piattaforma. Potrei probabilmente sfruttarlo di più ed essere più strategico, ma penso che il mio metodo si adatti alla mia personalità, al mio tempo e al tipo di lavoro che faccio. Penso che ogni persona abbia bisogno di scoprire il modo migliore per presentare il proprio lavoro e la propria voce (visiva o meno) in modo dignitoso. Come illustratori e artisti siamo molto fortunati ad avere questa capacità di connetterci direttamente con il nostro pubblico, ma penso che ognuno di noi debba essere responsabile dl modo in cui usa questa tecnologia.

Un obiettivo che vuoi raggiungere nei prossimi anni.
Mi piacerebbe dipingere un aereo (in cambio di una vita di voli gratis). Chiamami se senti di un’occasione del genere.

Tre artisti che ti senti di consigliare ai nostri lettori.
Accidenti, solo 3? Sally Deng, Jon Koko, Genieve Figgis.

Potete seguire l’account Instagram ufficiale del libro e quello personale di Brian. Vi consiglio inoltre questo divertente intervento nel quale l’illustratore descrive, attraverso i suoi lavori, come sopravvivere alle paure e alle ansie che condizionano la nostra vita.

Brian Rea

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English

Hi Brian. In your book Death is the main character, even if it’s only a literary pretext. Considering your personal experience and your work as illustrator for the New York Times, how do you think your perception of death has changed?
I think about it more- Reading and illustrating the Modern Love column about people’s relationships love and loss each week is definitely a part of that, but getting a bit older, having a child, feeling more reflective now- these have all helped change my perception too- they’re reminders to enjoy the most important things in my life with the time that I have. Being present when I’m not in the studio, smiling, appreciating others- these are the big goals now. Working on the book probably added to that awareness as well. Though Death is the main character in the book, it’s really about taking time and working less (so death doesn’t have to work more…:). Hopefully the book provides that reminder for others too.

Your book suggests that we should enjoy life more, and take a vacation from the idea that our life is just work. Is your creativity influenced by deadlines and work problems?
Not so much deadlines, but I tend to see life’s problems and anxieties as an undercurrent in my work. Most come from my own experiences while searching for that elusive work/ life balance thing- I’ve never found it honestly, partly because I always seem to have a project in mind- my wife calls it “going out to the island.” So even if I didn’t have deadlines, I’d still be making or thinking about work. It’s the blessing and the curse of having a passion that becomes a career- the crazy thing is, I wouldn’t have it any other way. It’s what I love. My guess is, others can relate to being on that island too.

Do you have any suggestion to give us to keep and cultivate our own creative independence?
I think everyone’s idea of creative independence is different- certainly mine has changed over time (since moving from NYC to California)- for some, being financially stable can lead to creative independence, for others it’s simply calling the shots in their studio each day and being in control of the path of their work. Regardless of how it’s measured, I think all creative independence begins with a lot of hard work to get to that enviable place where you can do what you love. I don’t think short cuts will get you there. The equation for me was and always has been this: find something you truly love doing more than anything in the world, then wrap your life around this-  what you read, what you wear, what you do, your friends/ family (or lovers), your spare time, your space, your home- make being an artist your life’s work. Without compromise.

Digital V analog. Which tools do you prefer?
A N A L O G., but I love photoshop. I’d be lost without it.

What’s on your desk?
Books, coffee, 4 boxes of 3B pencils, ink, my to do list, sketches on 3 current projects, a bunch of external hard drives, a copy of Living on Earth by Alicia Bay Laurel, drawing pads (I love these 10” square pads) and a Panasonic electric pencil sharpener I “relieved” from the NYTimes.

What’s the importance of being on social media as an artist?
I see it as a positive to have an active presence, though I’m not as much of a skimmer (scrolling through my feed) as I used to- probably a good thing. I’m pretty straightforward with my approach- share new projects once or twice a week and connect with the people who enjoy and appreciate what I do. IG is my thing, but for others some other platform might work. I could probably tighten my game and be more strategic, but I think my method fits with my personality, my time and for the type of work I do. I think each person needs to discover how best to present their work and their voice (visual or otherwise) in a respectful way. As illustrators and artists we’re super lucky to have this ability to connect directly with our audience, but I think we each need to be responsible with how we use this technology.

A goal that you want to achieve in the next years.I’d love to paint a plane (in exchange for a life time of free flights). Call me if you can hook that up.

Three artists you would like to recommend to our readers.
Gah- Only 3…? Let’s see, Sally DengJon KokoGenieve Figgis.

 

Art director e web designer, diplomato in scenografia con esperienze di teatro, fumetto, animazione, illustrazione e scultura. Scrive per Picame dal 2015.

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