L’amore universale raccontato con una sola linea continua: intervista a Jonathan Calugi

Nelle sue illustrazioni figure umane si fondono tra loro e si trasformano in oggetti ed elementi naturali, a significare che tutto è interconnesso. È l’idea di amore che Jonathan professa fin dagli esordi della sua carriera artistica.

Jonathan Calugi è nato, vive e lavora a Pistoia. Nel 2010 viene selezionato dalla rivista Print Magazine fra i 20 New Visual Artist Under 30 e, nello stesso anno, è tra i 50 Young Guns, concorso a livello mondiale bandito da The One Club for Creativity di New York per il quale quest’anno è stato invitato a far parte della giuria. Tra esposizioni ed eventi ha girato il mondo e la lista dei suoi clienti è lunga e di rilievo: Nike, DeLonghi, Apple, Sony, Google, Facebook, Logitech, NewYorkTimes, Airbnb e molti altri. Il suo consiglio? Non smettere mai di giocare, imparare dai propri difetti e non prendersi mai troppo sul serio.

Intervistare Jonathan è un vero piacere perché dalle sue risposte trapela lo stesso contagioso ottimismo che infonde ai suoi disegni. Ne avrete la prova proseguendo nella lettura. E attenzione alle chicche inedite che Jonathan ci ha gentilmente concesso in esclusiva.

Animazione per un operatore spagnolo di telefonia realizzata sui disegni di Jonathan che visualizza perfettamente la capacità di fondere e raccontare tutto il mondo in un’unica linea come un grande abbraccio.

Ciao Jonathan e benvenuto su Picame. Voglio cominciare sottolineando il fatto che il tuo rapporto con la musica è sempre stato stretto, anzi si può dire che la tua carriera sia nata proprio sotto questa stella (e ricordiamo la copertina che hai realizzato per La teoria dei colori di Cesare Cremonini). Il tuo stile, che è un po’ come una musica disegnata, si presta perfettamente all’animazione, come dimostrano anche i lavori più recenti. Pensi di realizzarne altri in futuro, magari sviluppando un progetto personale che hai nel cassetto?
La musica da sempre è stata una sorta di istinto colorato. Andando avanti con gli anni mi sono reso conto come loop, ritmo e suoni siano diventati espressione del mio lavoro, dai pattern ai colori, all’uso ossessivo di una voce unica per raccontare il mio mondo. L’animazione è un mondo favoloso ed ho avuto l’opportunità di vedere i miei lavori prendere vita! Mi piacerebbe tantissimo percorrere questa strada con un progetto personale ma la verità è che io sono troppo pigro per l’animazione 🙂 L’animazione è come il tratteggio, una sorta di meditazione, considerando che il modo migliore per animare il mio lavoro è a passo uno quindi un processo davvero molto lungo, ed io purtroppo o per fortuna sono molto istintivo e innamorato dell’idea del fare sempre qualcosa di nuovo 🙂

In questa esclusiva Jonathan ci mostra le proposte iniziali che aveva realizzato nel 2012 per la copertina dell’album di Cesare Cremonini, prima ancora di sapere che il titolo sarebbe stato “La teoria dei colori” (una commissione realizzata con lo studio apart-collective). Da notare l’elaborazione di un font originale che non è stato poi utilizzato.

La tua linea è narrativa: più che svilupparsi sul foglio si evolve nel tempo e nella testa del pubblico che segue il suo percorso, scoprendo con curiosità le forme e le loro relazioni evocate mano a mano. Nel creare i tuoi disegni sperimenti anche tu l’avventura e la meraviglia di un viaggio che non sai dove ti porta o hai la composizione già tutta chiara nella tua immaginazione?
È un qualcosa di molto interessante quello che dici. Io non mi sono mai reso conto di come il racconto che stavo creando fosse un libro a capitoli interscambiabili. Ricordo ancora, durante un talk ad Unit 9 a Londra, che uno dei creative director mi disse che sarebbe bello vedere tutti i lavori fatti che si uniscono assieme come in una sorta di racconto che parte dall’inizio per non fermarsi più. Il mio modo di lavorare è davvero semplice e molto veloce. Solitamente faccio uno scarabocchio su carta dove bilancio i vari elementi e poi pian piano rifinisco cercando sempre di togliere il più possibile. Per tornare alla tua domanda, mi lascio molta libertà, quando disegno penso di avere sì un idea in testa, ma a volte scopro che non seguirla mi aiuta a scoprire qualcosa di nuovo ed inaspettato.

Un’altra esclusiva relativa ad un murales composto da quattro quadri che Jonathan ha realizzato sul tetto di un palazzo di Los Angeles. Di seguito il disegno finale di uno dei quattro soggetti con il timelapse dello schizzo che ci fa capire il processo creativo di Jonathan.

jonathan calugi picame

Linea e colore nei tuoi lavori hanno un dialogo complementare: la linea racconta e il colore è spesso una forma, astratta o realistica, che fa da contrappunto quasi musicale al “tema” creato dalla linea e non un semplice riempitivo. È un’impressione che corrisponde alle tue intenzioni?
Assolutamente si! Hai colpito in pieno il bersaglio. La linea è la voce, il colore il beat. Esistono perchè si completano.

L’amore è il leit-motiv che accompagna tutti tuoi lavori. La cronaca quotidiana e la pandemia dimostrano che è sempre più necessario. In occasione di un tuo lavoro commerciale avevi dichiarato che “l’universalità dell’amore è come l’universo dei colori: ognuno ama colori differenti“: quasi un manifesto. Pensi che l’amore possa continuare ad essere una valida medicina per curare i nostri conflitti personali e sociali?
L’amore è la chiave. Per me è sempre stato il primo passo. L’amore è differentemente universale, intendo che non esiste un modo giusto o un modo sbagliato, esiste. Viviamo in un mondo distante e spesso ci troviamo a cercare in tutti i modi approvazione. Ecco, per me l’amore è la possibilità di avere una persona che ti dice che puoi fare ancora meglio. Sembra una cosa stupida ma siamo talmente abituati a pensare che il cuoricino e i like siano sinonimo di amore ed apprezzamento che ci scordiamo che dovremmo amarci molto di più senza il bisogno di qualche social che bilancia il nostro mood in base a dei numeri. Love it’s universal 🙂

jonathan calugi picame

Love it’s universal

I social e le community digitali secondo te favoriscono o stanno cambiando il senso della condivisione e dell’amore?
Bravissimo, questo è un tema importantissimo! I social ci spingono ad uniformare il pensiero di amore. È follia perché si parte dal punto opposto, dalla possibilità di potersi esprimere liberamente ad un pubblico potenzialmente universale. E poi alla fine tutto finisce per essere simile/uguale. Con il tempo ho imparato una cosa fondamentale: che è normalissimo che alla gente possa non piacere il tuo lavoro! Che puoi stare antipatico alle persone, che addirittura alcune persone possono non sopportarti! Proprio perché parliamo di amore, allo stesso modo l’hating si manifesta con toni così forti che alla fine è una sorta di amore ugualmente. Non riesco a capire davvero se possano favorire o no la condivisone. Io credo che internet abbia aiutato a condividere quello che ti piace fare, i social forse lo hanno un po’ reso piatto tutto e dello stesso sapore.

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Tu sei autodidatta e hai affermato di non sentirti un illustratore ma uno che con l’illustrazione è stato capace di distinguersi nel campo del design. Consiglieresti il tuo percorso ai giovani che vogliono diventare illustratori o narratori per immagini?
Sono un pigro torno a dirlo! Ho abbandonato l’accademia, non ho finito il DAMS e le prime mail in inglese che ricevevo mi sembravano arabo! Ad oggi dico che è stata una fortuna perché ho potuto crearmi l’idea del tutto in modo personale. Ho costruito il mio universo di connessioni di interessi, le scoperte e gli investimenti in libri del passato. Ho iniziato a fare i type, i font, in un modo veramente primitivo ma la voglia di farli e condividerli mi ha aiutato tantissimo. Design, illustrazione, direzione artistica: non avevo la più pallida idea di cosa fossero, sono sincero. Quando nel 2010 fui selezionato per lo Young Guns dalla ADC e da Print magazine ero davvero incosciente, non avevo un’identificazione. Illustratore? Designer? Art director? Boh! Io semplicemente esprimevo quello che era il mio modo di vedere le cose. Ho fatto per tantissimi anni rap quando c’era il registratore a 4 tracce su cassetta ed il microfono della Shure da due lire, durante l’adolescenza, dove formi in un modo o nell’altro quello che sei. Ottimizzare era la chiave, sapere utilizzare al meglio il poco che c’era.
Dal design ho preso il famoso “less is more” e l’ho applicato un po’ a tutto. Non avendo budget assurdi il mio modo di disegnare era pensato per essere riprodotto con la minore spesa possibile. Fotocopie in bianco e nero, serigrafia ad un colore etc. etc. Tutto questo non era stato pensato a tavolino ma è diventato il mio modo di esprimermi, un modo veloce, uno scarabocchio, un prendersi non troppo sul serio. Sono stato fortunato ad avere accanto persone che hanno continuato a giocare su di me e sui miei difetti, a prescindere se lavorassi con Apple con Nike o con altri, questa è stata la chiave di tutto: prendersi pochissimo sul serio! Quello che consiglierei è di divertirsi! Di pensare che il difetto più grande che un professore può individuare nel vostro lavoro è la chiave del vostro successo! I difetti ed il passato sono due basi così personali che vi aiuteranno ad essere diversi. Ad oggi non c’è bisogno del bello che vi dicono essere bello perchè c’è già! C’è bisogno di fidarsi del proprio istinto e continuare a divertirsi facendo quello che vi piace fare!

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Hai un tuo lavoro al quale sei particolarmente legato?
Me lo chiedono spesso e ti direi non ne ho idea. Tutti e nessuno perché alla fine sono tutti il continuo di un punto zero. Forse la cosa che più mi rende orgoglioso e quindi alla quale sono più legato è stato il momento in cui sono riuscito ad uscire dalla gabbia che un po’ mi ero costruito ed un po’ il mercato mi aveva costruito. Facevo valanghe di pattern ed ero chiamato sempre per fare pattern, perché il mercato è uno specchio, non cerca quello che posso dare ma quello che ho già fatto. Ad un certo punto mi sono fermato e sono riuscito a prendere quei pattern e scioglierli. Le prime dancer ed i primi lavori online penso siano forse i lavori a cui sono più legato. Come il lavoro per Airbnb one che è stato molto più un lavoro artistico che un lavoro commerciale.

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Dancers

Hai una triade o più di nomi di illustratori o artisti che ti hanno colpito più di altri e che vorresti condividere con i nostri lettori?
Saul Steinberg, Pablo Picasso (scontatissimo), Paul Rand.

Un artista o un personaggio del passato o del presente che ti piacerebbe incontrare di persona?
Pablito. Ho una sorta di ossessione, sono uno dei fortunati che ha il catalogo ragionato di Zervos di Picasso. Lo guardo e mi dico che odiooooooo! (tornando al tema dell’amore ahah). Un’altra persona che avrei voluto tanto conoscere è Ettore Sottsass.

Puoi dirci su cosa stai lavorando in questo periodo?
Il 2020 ed il 2021 per me sono stati una valanga. Si è mosso un universo intero di commissioni. Sono stanchissimo e felice. Sto lavorando ad un progetto gigante in America, tipo 100 disegni, un altro bello tosto in Canada e fortunatamente tanti altri progetti che mi lasciano libero di essere me stesso. Il mio linguaggio in questo momento viene tanto utilizzato per fare branding. E torniamo al punto di partenza “uno che usa l’illustrazione per distinguersi nel design” 🙂 La cosa su cui sto cercando di lavorare, ma sono sempre in ritardo, è una mostra dove stacco un po’ dai lavori commissionati e cerco qualche nuovo sbaglio a cui attaccarmi 🙂 C’è sempre tanto bisogno di provare cose nuove di innamorarsi di nuovi difetti. Ho un bimbo di 4 anni, vedo come parla con i colori facendogli fare battaglie, come gioca… ecco sto lavorando tanto sul non smettere mai di giocare.

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Poster per la campagna di promozione all’aiuto per la salute mentale di Los Angeles

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Il grande labirinto di figure creato per Airbnb

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Un’altra esclusiva di Jonathan per Picame, realizzata per un operatore spagnolo di telefonia sul tema del basket

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Copertina per l’album The Pool di Jazzanova

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Uno dei molti pattern realizzati da Jonathan nel corso della sua carriera

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Progetto personale per un’esposizione a Londra

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Illustrazione per Facebook

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Ditirambo: progetto personale per un’esposizione e una serie di stampe

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Art director e web designer, diplomato in scenografia con esperienze di teatro, fumetto, animazione, illustrazione e scultura. Scrive per Picame dal 2015.

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