Pierpaolo Rovero è entrato nelle case di tutto il mondo e le ha illustrate una per una – Intervista

24 città e altrettante dettagliatissime illustrazioni ci conducono in un viaggio senza confini geografici e culturali che racconta di similitudini e differenze, che parla contemporaneamente tante lingue ed una sola e che svela la straordinaria connessione tra i popoli. 

Un passato come disegnatore alla Disney e character designer alla Ferrero, il lavoro come insegnante e illustratore, poi l’arrivo dei figli, una gioia che ti riempie l’esistenza ma ti limita negli spostamenti. In chi come Pierpaolo Rovero ha fatto del viaggio la propria fonte di vitalità ed ispirazione si fa strada l’esigenza di continuare a scoprire il mondo, in un modo o nell’altro. Nasce il progetto “Imagine All The People”, una serie di 24 illustrazioni ambientate in altrettante città, nelle quali attraverso le finestre aperte possiamo entrare nelle case ed osservare cosa accade.

Questo progetto, va detto, non è stato ispirato dal recente lockdown. La coincidenza è fortuita, ma non per questo meno affascinante. La serie era in preparazione già da tempo, e a ragion veduta, dato che ognuna delle tavole può richiedere fino a una settimana di lavoro tra raccolta del materiale fotografico (che spesso arriva da amici e fan sparsi per il mondo), scelta dei soggetti e realizzazione grafica. Ho chiesto a Pierpaolo di essere lui stesso a raccontarci di più di questo interessante viaggio.

Ciao Pierpaolo, benvenuto su Picame. Iniziamo con una breve introduzione per i nostri lettori: chi sei, da dove vieni e che cosa fai.
Ciao a tutta la comunità di Picame. Vivo e lavoro a Torino, da sempre. Mi piace definirmi un viaggiatore dell’immaginario. Ho lavorato nell’ambito del fumetto, dell’animazione, dell’arte, della pubblicità, dell’illustrazione e della saggistica. Non voglio limitarmi ad un solo settore. Mi piace disegnare e contemporaneamente avvicinarmi a tutte le discipline, accettando lo scambio e le intersezioni.

Qual è il primo disegno che riesci a ricordare?
È un ricordo dell’asilo. Avevo disegnato un cavallo e poi avevo iniziato a colorarlo in modo folle, uscendo da tutti i margini. Le maestre mi avevano rimproverato: guai ad uscire fuori dai contorni! Senza volerlo mi stavano presentando le linee come dei segni minacciosi, frontiere che era bene non oltrepassare. Ed io non capivo. Oggi insegno all’Accademia delle Belle Arti e ai miei studenti cerco di spiegare che la materia di cui è fatto il mondo reale non ha confini, non vi sono segni che delimitano le figure, non esistono linee nere che scorrono intorno alle cose. Dunque i contorni, concretamente parlando, non esistono.

Hai iniziato a lavorare prestissimo, prima per Disney, a soli 18 anni, poi per Ferrero. Parlaci di queste esperienze.
Il periodo in cui ho lavorato come fumettista per la Disney lo considero il mio apprendistato. Ho avuto la fortuna di essere seguito direttamente da due dei più grandi fumettisti italiani: Giovan Battista Carpi e Giorgio Cavazzano. Le idee artistiche di Disney mi hanno sempre affascinato, fino al punto da assumere un carattere quasi dogmatico. Nel momento in cui ho capito che queste idee stavano diventando per me dei modelli assoluti, ho deciso di andarmene. Stavo rischiando di fermarmi, di applicare alla lettera un insieme fisso di norme. Era come tornare alla scuola materna: bisognava tracciare i contorni e colorare all’interno.
Lavorare per Ferrero mi ha permesso di confrontarmi con un mercato globale, sviluppando campagne pubblicitarie per decine di Paesi. Uno dei progetti più interessanti è stato la creazione del brand character della Kinder: Kinderino. Un anno, entrando in un supermercato in Messico, ho ritrovato i miei disegni di Kinderino, è stato divertente.

Con il progetto “Imagine all the People” hai iniziato un viaggio virtuale in alcune delle più belle città del mondo entrando letteralmente nelle case delle persone. Da dove nasce questa esigenza espressiva e che cosa rappresenta per te?
Imagine all the people è letteralmente un viaggio, un diario che vuole ricordare che non siamo singoli individui isolati, ma un sistema. Siamo tutti umani, senza distinzioni di sesso, razza, lingua, religione ed opinioni politiche. Sarebbe bellissimo se ognuno potesse ritrovarsi in una qualsiasi finestra. In fondo siamo tutti interconnessi: questo ci rende vulnerabili, questo ci rende forti.

Come mai hai scelto questo titolo?
Il titolo nasce dopo aver visto il video originale “Imagine” di John Lennon. Ci sono John e Yoko: John suona il pianoforte e canta, mentre Yoko apre tutte le finestre di una grande casa. Le finestre aperte sono un’immagine molto potente, oggi più che mai. Durante questa quarantena abbiamo affrontando sfide difficili, ma abbiamo anche recuperato il valore del silenzio, dell’introspezione, della solitudine, del sostegno. Di fatto si è chiusa la porta di casa, ma si sono aperte molte finestre.

La ricchezza dei dettagli e la varietà dei soggetti sono stupefacenti, quanto tempo impieghi per realizzarne una delle tue vedute e quale tecnica utilizzi?
Ogni illustrazione comporta circa una settimana di lavoro. Parto da un accurato studio sull’architettura. Voglio che le persone delle singole città possano riconoscersi, ritrovando prima di tutto un’immagine realistica degli ambienti. Lavoro in digitale, disegnando e colorando con una tavoletta grafica. In questo modo posso elaborare dettagli piccolissimi, impossibili da realizzare con il pennello. Vorrei che l’immagine non si esaurisse con un solo sguardo. Il che è andare un po’ contro le regole estetiche della rete. Internet ci ha abituato a vedere molto velocemente: ormai le figure scorrono, e raramente si osservano. E così ho deciso di introdurre alcuni particolari che non sono visibili sullo schermo del computer, ma unicamente dal vivo, a dimensione molto grande. In fin dei conti, però, mi piace pubblicare i miei quadri online, perché alle volte il non vedere distintamente i particolari lascia ancora più spazio all’immaginazione.

Non solo disegno quindi ma anche un grande lavoro di documentazione e di “regia”, soprattutto per quelle città in cui non sei stato personalmente.
I quadri di sono realizzati partendo spesso dalle richieste della gente, attraverso i social. Mi è capitato di ricevere immagini di documentazione o messaggi che mi spiegano dettagli riguardo alle singole città. Anche con Sana’a, sono stato raggiunto da un gentilissimo Yemenita che mi ha fornito spunti e foto. La partecipazione della gente al progetto mi aiuta ad entrare nell’atmosfera, a stabilire un contatto reale con ciò che sto immaginando.

C’è un altro aspetto interessante di questo progetto: ogni tavola è ambientata in un’ora diversa del giorno. Cosa succederà quando tutte e 24 saranno ultimate?
Il progetto si potrà apprezzare nella sua interezza. Si potrà fare un giro intorno al mondo seguendo la traiettoria del sole. L’ultima città, al termine della notte, sarà Aleppo. Una città completamente distrutta, ma che voglio far coincidere con l’alba di un nuovo giorno.

In tempi non sospetti hai iniziato a illustrare città deserte con persone chiuse all’interno delle loro case che fanno le cose più disparate. I complottisti non ti hanno ancora additato come massone o servo dei poteri forti?
La cosa ha sorpreso anche me, perchè durante la quarantena mi sono sentito letteralmente catapultato nell’immaginario che avevo creato. Effettivamente mi mancava un motivo razionale per cui le persone si trovassero chiuse in casa. Alla pandemia non ci sarei mai arrivato. Purtroppo per i complottisti, la realtà supera sempre la fantasia.

Scherzi a parte, tra 30 anni quale sarà il ricordo più vivo legato a questo strano periodo storico?
Cercherò di ricordare i momenti più belli: io che gioco e disegno con i miei figli.

Tre artisti che ti senti di consigliare ai nostri lettori.
Ho un gruppo di miei ex-studenti che sono da tenere d’occhio, perché hanno una marcia in più. Solo tre? Ne avrei almeno una quindicina. Comunque, guardate Capitan Artiglio, perché ha condensato nei suoi fumetti tutto l’immaginario di una generazione. Mi viene in mente anche Albhey Longo, un grandissimo disegnatore e sceneggiatore che in futuro regalerà grandi sorprese. E infine cito Lorenzo Mò, che ha un design straordinario.

Il 2020 di Pierpaolo Rovero sarà?
Viaggiare per tutto il mondo, incontrare gente, partecipare a grandi concerti rock e a raduni epocali. Il tutto standomene in casa, con la matita in mano.

Designer e art director, è fondatore e direttore di Picame dal 2008 e co-fondatore di fargostudio.com, agenzia specializzata in design e comunicazione.

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