Disegnare con la spontaneità di un bambino: intervista a Victoria Semykina

La sua potenza espressiva, unita alla capacità tecnica e ad una irrefrenabile visione artistica, la rendono una dei grandi talenti contemporanei.

Nonostante fosse la vincitrice del concorso Tapirulan 2017 e di una lunga lista di altri prestigiosi premi, è solo sfogliando François Truffaut, il bambino che amava il cinema” che ho conosciuto il lavoro di Victoria Semykina.
Nata a Mosca e da subito profondamente interessata alle arti, Victoria è venuta in Italia per immergersi ancora di più nei capolavori del Rinascimento. Le ho rivolto alcune domande per conoscerla meglio.

La prima domanda è forse sempre la più scontata, ma vorrei che ci parlassi di te, per i lettori che stanno per scoprirti leggendo quest’intervista.
Da bambina nascondevo le matite sotto la coperta per disegnare di notte sulla carta da parati. Mi piacevano le superfici grandi. Ironia della sorte, all’Accademia di Belle Arti di Mosca ho studiato pittura murale. Dopo aver ammirato per anni Giotto, ho deciso di andare in Italia per incontrarlo di persona, e mi sono innamorata. Così sono rimasta qui. L’amore per i libri mi ha portato a Bologna, dove ho studiato illustrazione all’Accademia. L’abitudine di nascondere le matite ce l’ho ancora, sono dappertutto, nelle tasche, in tutte le borse, a volte anche in frigo (sono molto distratta, perciò tutti mi prendono in giro).

Hai raccontato di essere cresciuta artisticamente sotto una disciplina molto rigida, con l’imperativo di non infrangere mai nessuna regola. Quali erano i limiti a cui ti era imposto di sottostare, e quale è stato il tuo percorso artistico?
Guardandomi indietro, vedo che i miei maestri che credevo severi, erano semplicemente pigri. Coinvolgere gli studenti richiede un sacco di energia e passione. È molto più facile esigere e punire invece che dare, cosa che ovviamente crea tante paure. Ciò che ti fanno dimenticare a scuola è quella bella sensazione di un bambino che non ha né paure, né regole, ma solo la gioia di graffiare la carta. Cerco di liberarmi la testa per avvicinarmi a questa sensazione.

La cosa che più mi ha colpito del tuo stile è la capacità di allontanarti dal naturalismo e di ricreare immagini perfettamente descrittive attraverso segni di grande spontaneità e potenza espressiva. Ho letto che questa caratteristica ti viene attribuita spesso, ma che in realtà stai sempre esplorando la possibilità di diventare ancora più libera dalle limitazioni delle convenzioni artistiche. Puoi parlarci di come si sviluppa il tuo processo creativo.
La cosa più difficile e che sembra quasi irraggiungibile è disegnare senza nessuna aspettativa. Quando si fa uno scarabocchio su un foglio di carta, ad esempio parlando al telefono, molto spesso vengono fuori cose incredibili. Perché non ci sono né paure, né aspettative. Negli ultimi anni disegno su carta molto economica e non faccio schizzi: ogni illustrazione è uno schizzo. Così provo ad avvicinarmi a quel senso di spontaneità. Per superare le mie paure provo a disegnare molto velocemente, cerco di ingannare il mio cervello. Ho due parole magiche che mi aiutano nel momento del blocco o della crisi: “gioco” ed “esperimento”. Tutte e due non hanno aspettative e mi fanno ricordare come essere bambina.

Sei molto attiva su Instagram, hai un numeroso seguito con cui interagisci e dialoghi costantemente, lanciando contest creativi e rispondendo ai commenti, e sei un punto di riferimento per molti altri artisti. Quanta parte della tua giornata, nonché energia, dedichi alla gestione dei social media?
Ho speso un sacco di tempo nel dirigere il corso The Film Challenge. L’idea era di unire artisti di diversi paesi per guardare bei film e disegnarli. Uno dei motivi era di distrarci dalla quarantena che ci ha isolato. Questo progetto è durato quasi un anno e ci ho dedicato tutto il mio tempo libero. Alla fine è andato benissimo, abbiamo scoperto un sacco di film e una marea di nuovi artisti. E nello stesso tempo mi sono trovata completamente a pezzi. Quest’anno ho deciso di allontanarmi un pò dai social per riprendermi e dedicarmi ai miei progetti personali.

Uno degli interessi immediatamente riconoscibili dal tuo portfolio è sicuramente il cinema. I film che diventano i soggetti delle film sketch challenges possono essere vecchi o recenti, ma sembrano spesso condividere un certo gusto rétro, dalla Nouvelle Vague alla Hollywood degli Anni ‘20, cosa ti affascina, cosa ricerchi e cosa ritrovi nella settima arte?
Quando vedo un film affascinante, mi colpisce come un regista riesca a mettere insieme una storia: il montaggio, la musica, gli attori, la scenografia… e tutto funziona perfettamente insieme. Quando invece disegno un’immagine ispirata da un certo film, chi la guarda non sa che scena c’era prima e quale ci sarà dopo, non sente i dialoghi o la musica. Io devo provare a raccontare una storia solo in un’immagine. Fare sentire le voci e coinvolgere lo spettatore nell’atmosfera del film. È un’esperienza molto difficile, ma interessantissima, e mi ha fatto imparare tante cose dal punto di vista narrativo.

Hai tra i clienti nomi come AirB&B e un’energia creativa che sembra inesauribile. Come descrivi una tua giornata tipo, e quali consigli daresti a chi vuole intraprendere questa professione?
Ho paura di aver creato una falsa impressione. A volte rimango bloccata su una tavola per giorni (a volte anche per settimane) e non riesco a disegnare. Se parliamo della mia giornata tipo, una cosa importante che sto imparando adesso è cominciare a disegnare la mattina appena mi sveglio. Rispondere alle mail, parlare coi clienti, scrivere sui social mi succhia tutta l’energia. Cerco di farlo verso sera, così dormo meglio quando sono molto stanca. Un’altra cosa importante è imparare a dire “no” a ordini ed impegni che non sento di voler fare. Ecco un mio consiglio: fai ciò che non possono fare gli altri. Nella tua professione c’è sicuramente qualcosa che puoi fare solo tu e che ti rende felice!

Roberta Zeta
Illustratrice italiana, dopo varie esperienze in giro per il mondo si è stabilita a Los Angeles. Accidentalmente laureata in legge, disegna da sempre, dedicandosi a progetti editoriali e fashion. Scrive per Picame dal 2009.

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