Dialogo con Emiliano Ponzi sul linguaggio dell’illustrazione e sull’importanza di trovare il proprio “tono di voce”

In questa intervista, che giunge poche ore dopo l'assegnazione della quarta medaglia d'oro da parte della Society of Illustrators di NY, Emiliano Ponzi ripercorre alcune tappe della sua ventennale carriera ed esprime il proprio punto di vista sulla professione di illustratore

L’ultimo importante riconoscimento è arrivato pochi giorni fa dalla Society of Illustrators di New York, che ha insignito Emiliano Ponzi della sua quarta medaglia d’oro, questa volta per il packaging realizzato per Barilla nel 2021. È solo l’ultimo di una lunga serie di premi ottenuti in oltre 20 anni di lavoro come illustratore, carriera esemplare di cui molto è già stato raccontato qui su Picame, sui suoi libri, nelle tante interviste e nei talk che ha fatto in giro per il mondo. Per questo nella nostra chiacchierata ne parleremo solo marginalmente, a corredo di una discussione più profonda su cosa significhi e implichi essere un illustratore internazionalmente riconosciuto che vorrebbe “durare a lungo”.

Il packaging in edizione limitata realizzato per Barilla nel 2021 con il quale Emiliano Ponzi il 5 marzo 2022 ha ottenuto la sua quarta Gold Medal dalla Society of Illustrators di New York

Emiliano Ponzi ci ha raccontato di come si sia emancipato da un linguaggio divenuto col tempo ripetitivo, spesso adottato e riproposto con minime variazioni da tanti illustratori, e di come il suo tono di voce sia maturato e cambiato, pur restando fedele a sé stesso, a dimostrazione del fatto che anche dopo anni di successi non si diventa immuni al rinnovamento, e anzi lo si ricerca, non senza dubbi e angoli bui.

Il nostro dialogo riprende il discorso da dove lo avevamo lasciato l’ultima volta, cioè dalla sua intervista per Typography Annual del 2015, che avevamo ripubblicato in italiano.

Cover per “Abbandonare un Gatto”, racconto breve Murakami edito da Einaudi

Ciao Emiliano, bentornato su Picame. Nell’intervista per Typography Annual affermavi: “Lo stile cammina a braccetto con le tendenze. Si può essere alla moda per dieci anni o per una generazione ma poi si invecchia. Quello che sto dicendo nella mia illustrazione è molto più importante di come io lo stia dicendo. Se ho alcuni concetti da trasmettere con il mio lavoro probabilmente durerò più a lungo”. Effettivamente il tuo approccio negli ultimi anni si è evoluto. Il cambio di paradigma, che più di tutti inizialmente ti ha contraddistinto, ha lasciato spazio ad un’illustrazione più estetica e ricercata, di tipo autoriale. Questo tuo progressivo distacco è in parte riconducibile alla volontà di prendere le distanze da un certo tipo di illustrazione che è stata, negli anni, forse un po’ troppo imitata?

Non credo sia una volontà di distacco ma più un’evoluzione naturale. Si parte in un modo utilizzando delle linee e delle forme e poi ci si contamina, si cresce e c’è la voglia di ampliare il vocabolario, di dire anche cose diverse con un linguaggio che cambia, come cambiano il gusto e le esigenze. Sono convinto che ogni lavoro creativo non possa essere sempre uguale a se stesso ma segua la stessa traiettoria dell’esistenza di chi lo genera. Nella vita ci si innamora, si lascia, si viene lasciati, ci si trasferisce, si cambiano i gusti alimentari, nel vestire, nelle letture. E la stessa cosa avviene anche in una vita “artistica” . Va da sé che la reiterazione dello stesso gioco concettuale o visivo più che una moda diventa una gabbia, un luogo sicuro che impedisce l’esplorazione di cose nuove.

Illustrazione per il 60° anniversario del Salone del Mobile. Il progetto è formato da sei locandine, in uscita ogni mese da febbraio a giugno 2022, ciascuna dedicata ad un decennio del design italiano dagli anni ’60 ad oggi

Parlando di autopromozione sui social media, come si può scongiurare il rischio di lasciarsi sedurre dal fascino di ciò che funziona perdendo di vista la propria identità o creandosene una che cerchi di assecondare il gusto altrui o di cavalcare i trend?

Conosco diverse persone che hanno delegato una parte del loro successo ai social network e quando l’algoritmo è cambiato oppure per varie ragioni i loro profili sono stati chiusi hanno avuto problemi. Non vorrei essere frainteso, usare i social è un eccezionale mezzo di diffusone del proprio lavoro ma è proprio questo, un mezzo, uno strumento, non il fine. Non farei dei compromessi artistici o stilistici perché una mia immagine debba vedersi bene sul quadrato di Instagram visto dallo schermo di un telefono. Questo è terribilmente sminuente del concetto di creatività, dell’esperienza e delle conoscenze acquisite in anni di lavoro e ricerca.

Si sente spesso parlare di stile, di come andrebbe ricercato e reso a tutti i costi riconoscibile, come se senza di esso non si potesse esprimere la propria identità di autore. Un concetto che viene il più delle volte frainteso con il semplice dotarsi di elementi estetici ricorrenti, come colori o soggetti.

La prendo larga con un esempio eccessivo perché sono appena tornato da Parigi dove in mostre diverse ho visto opere di Picasso in diverse fasi della sua attività di artista. Picasso è meno Picasso nel suo periodo Rosa, rispetto a quello Blu, Africano o Cubista? No, è sempre la stessa persona che segue la sua buona stella. La qualità è inferiore nel suo periodo Rosa, rispetto a quello Blu, Africano o Cubista? No, la qualità è sempre altissima perchè ogni fase aveva elementi specifici che motivavano la curiosità e la crescita di un creativo e muovevano la sua mano in un modo piuttosto che in un altro.

“Oltre il Confine”, cover del podcast di Matteo Caccia per Amazon Audible

“Non farei dei compromessi artistici o stilistici perché una mia immagine debba vedersi bene sul quadrato di Instagram visto dallo schermo di un telefono. Questo è terribilmente sminuente del concetto di creatività, dell’esperienza e delle conoscenze acquisite in anni di lavoro e ricerca”.

Hai parlato di vocabolario, un concetto legato alla parola. Hai voglia di leggere insieme una delle tue illustrazioni? Scelgo, se sei d’accordo, quella che hai realizzato nel 2020 per la campagna “Playlist Timer” di Barilla.

“Playlist Timer” è stata una splendida campagna pensata dal team di Prodigious. Ha vinto diversi premi a Cannes e sono molto contento di averne fatto parte. È uno di quei pochi esempi dove, anche in pubblicità, si riesce a creare progetti qualitativamente alti dove il prodotto è rappresentato ma non comprime l’aspetto illustrativo. Ad ogni illustratore è stato assegnato un tipo di pasta con un tempo specifico di cottura, quel tempo era la durata di una playlist su Spotify. Uno splendido concept dove l’attesa per la cottura della pasta viene accompagnata dall’ascolto di uno o più brani. Terminata la playlist è ora di scolare la pasta. Il mio brief era “Timeless Emotion Fusilli”: ho virato l’aspetto emotivo utilizzando la luce e lo sguardo della ragazza rivolto alla finestra aperta come ad immaginare un ricordo ascoltando un pezzo con il Walkman. Tutto è orientato verso gli anni ’80. La composizione è pensata perchè si vedano al contempo sia la parte in ombra della ragazza, con le cassette e il mangianastri, sia la parte bassa, attraverso la linea del corpo, con le gambe che portano al quadro sulla testiera del letto.

“Timeless Emotion Fusilli”, illustrazione realizzata per il progetto Playlist Timer di Barilla

Ti sei mai chiesto fino a che punto le persone riescano a percepire tutto il lavoro che c’è dietro ad una tua illustrazione?

In qualsiasi espressione artistica gli intenti dell’autore non arrivano al 100% ma è normale che sia così. È la stessa cosa che accade nella scrittura quando si pensa a creare un personaggio: si delineano i tratti somatici, i gusti, il livello culturale, il carattere, ma tutti i dettagli non sono presenti nel romanzo, servono solo a dargli identità, tridimensionalità e a renderlo verosimile. Un personaggio inventato capace di muoversi in un mondo inventato, e il tutto deve essere credibile. Nella mia immagine come in quasi tutte quelle che realizzo, ciò che si vede nell’illustrazione finale è meno di quello che ho pensato ma è abbastanza perchè quel fotogramma racconti un mondo tridimensionale, una storia che ha un prima e un dopo. Deve esserci uno spessore narrativo.

Possiamo spingerci ad affermare che fare le cose bene vuol dire – anche – far apparire come semplice qualcosa di complesso?

Sì, perchè la sintesi è la fine di un percorso e non c’entra con la frase abusata “Less is more”. La sintesi non è per forza poco. Parte da una complessità, ne estrapola alcuni elementi, li rielabora e li mette in scena. Ma dietro le quinte del palcoscenico c’è ancora quella complessità fatta di mobili non scelti per la scenografia, attori non chiamati a recitare e fondali non idonei da usare come quinte.

Illustrazione per AD Germany

“La sintesi non è per forza poco. Parte da una complessità, ne estrapola alcuni elementi, li rielabora e li mette in scena”.

Durante un talk a Milano hai raccontato del tuo ultimo viaggio negli USA pre pandemia durante il quale hai potuto dedicarti al disegno con la massima libertà, libero da vincoli e deadline. 

Spesso ho necessità di fare cose diverse e provo a farle rientrare in un progetto che abbia un fine lavorativo. Nel caso di American West volevo dedicarmi alla scoperta di luoghi importanti per storia, bellezza e cultura di alcuni stati dell’America dell’ovest. Volevo semplicemente disegnarli senza aggiungere nessun concetto o secondo livello di lettura visiva. Sono riuscito a farne una serie per il New Yorker prima e poi un libro per Corraini. Lo avrei probabilmente fatto anche da solo ma in qualche modo sarebbe stato diverso.

Nell’intervista già citata affermavi “Vorrei durare a lungo, come Brad Holland”. A distanza di anni hai capito qual è il trucco?

Credo che Brad Holland, come Mattotti o Igort o Christoph Niemann (per citare un caso più giovane) e tanti altri abbiano molto semplicemente lavorato con grande onestà intellettuale facendo sempre bene le cose perchè erano percorsi che reputavano naturali ed interessanti nel loro oggi senza preoccuparsi troppo di quello che erano stati prima e tantomeno di quello che sarebbero stati dopo.

“The Great New York Subway Map”, cover

Sempre in quell’occasione hai affermato che il tuo lavoro personale è l’illustrazione, cioè che trovi egualmente soddisfacente lavorare per un cliente o per te stesso.

Lavorare per un cliente importante che ti sceglie e ti chiama dà sempre molta soddisfazione. Diciamo che la mia declinazione di lavorare per me stesso è che sono io sicuramente il giudice più intransigente. A prescindere dal feedback che arriva so se ho dato il massimo oppure se c’era ancora margine per fare qualcosa in più. Per me ogni immagine realizzata è un’occasione per imparare cose nuove. In questo senso sì, lo faccio per me stesso.

L’illustrazione è stata riscoperta anche dal mondo dei prodotti di largo consumo ma a differenza del passato mi pare ricopra un ruolo meno didascalico e descrittivo.

I brand hanno iniziato ad usare molta illustrazione e questo è un fatto positivo a prescindere. In questa fase, rispetto al passato, ne è stato riconosciuto il valore aggiunto, l’emozione che l’immagine disegnata può conferire ad un prodotto che va ad aggiungersi allo storytelling del prodotto stesso.

Illustrazione per Xiaomi UK

“I brand hanno iniziato ad usare molta illustrazione […] ma rispetto al passato ne è stato riconosciuto il valore aggiunto, l’emozione che l’immagine disegnata può conferire ad un prodotto”.

Il giorno di San Valentino hai presentato su SuperRare “May I love you?”, la tua prima serie di NFT, un trittico di illustrazioni animate che ha visto la partecipazione di Giuliano Sangiorgi dei Negramaro in qualità di sound designer. Cosa puoi raccontarci del progetto?

L’ho lanciato in occasione di San Valentino perché parla di baci e amore universale. È la mia prima esperienza e volevo farla al meglio delle mie possibilità così ho chiesto all’amico Giuliano se avesse voglia di comporre qualcosa per questa occasione. Il suo meraviglioso contributo è stato fondamentale per creare una mini storia emotiva. L’illustrazione animata e la musica assieme riempiono di vita l’immagine statica.

Che prospettive vedi per gli illustratori in questo nuovo mercato dell’arte?

Quello degli NFT è un mondo che consideriamo nuovo, lo è anche per me, ma non lo è di fatto perché moltissimi artisti sono presenti sulle piattaforme e lavorano da anni quasi solo vendendo le loro opere digitali. Non ho un’idea precisa, ho creato un team di persone che mi aiutasse ad orientarmi in questo paradigma sconosciuto. A chiunque veda un’occasione per arricchirsi facilmente, perché sembra che spesso si riduca a questo, dico di lasciar perdere. Non funziona in questo modo ma alla stregua di un’artista che si approcci ad esporre i primi quadri in una galleria: deve crearsi un pubblico, una riconoscibilità e una credibilità. Come tutte le cose che durano, anche la carriera da artista NFT ha bisogno di tempo e lavoro, è un percorso graduale. Essere conosciuti, addirittura famosi, nel mondo “reale” non ha significato nel mondo parallelo della cryptoarte. In questo senso è interessante perchè bisogna costruirsi una reputazione da zero.

Una delle tre illustrazioni animate del progetto “May I love you?”

“Essere conosciuti, addirittura famosi, nel mondo “reale” non ha significato nel mondo parallelo della cryptoarte. Bisogna costruirsi una reputazione da zero”.

Se potessi tornare indietro di 20 anni, ai tempi del tuo studio di 10 metri quadrati dove hai vissuto in solitudine i tuoi primi anni di carriera, e avessi la possibilità di dare dei consigli all’Emiliano di allora, quali sarebbero?

Gli consiglierei di sperimentare di più perchè in seguito si hanno meno occasioni legate al tempo disponibile e al modo in cui ci si approccia a queste sperimentazioni. Quando sei agli inizi le aspettative sono più basse, è più semplice provare e riprovare senza avere nessun fine preciso in mente. Consiglierei anche di studiare di più le basi del disegno, la teoria del colore e la prospettiva.

Se invece questi consigli volessi darli oggi ad un illustratore emergente, cosa gli diresti?

Le stesse cose che direi al me stesso di 20 anni fa. E aggiungerei di guardarsi i piedi per capire dove sta andando al di là di tutto quello che vede attorno perchè a volte quella confusione può confonderci.

“Pride Week 2021”, illustrazione per Vanity Fair

“My Dante” illustrazione realizzata per “Dante Plus 700

– Leggi anche:

“I learn by watching you” L’intervista di Emiliano Ponzi per Annual Typography

Emiliano Ponzi: The Journey of the Penguin

Designer e art director, è fondatore e direttore di Picame dal 2008 e co-fondatore di fargostudio.com, agenzia specializzata in design e comunicazione.

Iscriviti alla newsletter

Ogni bimestre riceverai una selezione dei nostri articoli.

Iscrivendoti dichiari di accettare la nostra Privacy Policy