Minimalismo e dinamicità espressiva tra arte urbana, illustrazione e tatuaggi: intervista a Luca Font

L'artista bergamasco negli anni è riuscito a cambiare continuamente pelle pur mantenendo la sua firma incisiva e "brutale", che esalta i materiali grezzi e spogli, prediligendo l'estetica della forma e della sintesi

Di radici bergamasche ma con l’anima nomade, Luca Font vive tra Milano e New York e ama definirsi un “artista grafico“. Il suo percorso inizia a 15 anni con i primi graffiti, prosegue con i tatuaggi e le illustrazioni e da allora è in continua evoluzione, sperimentando con ogni supporto disponibile, fisico o digitale, e dando vita a progetti che sono la pura espressione di tutto ciò che lo ispira ed emoziona.

Lo abbiamo intervistato per voi.

Ciao Luca e benvenuto su Picame. Sei un artista poliedrico e sempre in movimento tra arte urbana, illustrazione, grafica e tatuaggi.
 Come riesci a conciliare tutto?

Descrivo generalmente la cosa come un feedback loop: lavorare su superfici diverse, pur mantenendo lo stesso approccio stilistico, mi “costringe” ad adottare soluzioni differenti a seconda dei casi e questo finisce inevitabilmente per influenzare quello che faccio su altri media, creando così un meccanismo circolare che si autoalimenta. Trovo stimolante il fatto che ci siano infiniti punti di partenza ma non esista un vero e proprio punto di arrivo.

A quale di queste superfici sei più legato e perché?

In realtà sono sempre stato legato al disegno in sé, come atto espressivo multidisciplinare. Mi piace poter declinare il mio immaginario utilizzando strumenti diversi tra di loro ma appartenenti allo stesso universo visivo, perché ognuno offre possibilità e sopratutto limitazioni specifiche consentendomi di adottare punti di vista che si completano a vicenda. Si tratta, in un certo senso, di un gioco di scatole cinesi.

Come definiresti il tuo processo creativo e come si sviluppa?

Si tratta quasi sempre di un processo di sottrazione, l’idea iniziale è in genere più complessa del risultato finale perché definire i contorni di ciò che sto facendo significa togliere tutto ciò che non serve e arrivare al nucleo dell’immagine da rappresentare o del concetto da esprimere. L’obiettivo per me è creare immagini di facile lettura, seducenti ma allo stesso tempo forti.

Quale dei tuoi numerosi progetti ti rende più fiero?

Sono in generale molto felice di poter lasciare qualcosa nella vita delle persone, che si tratti di un cambiamento permanente come un tatuaggio o della possibilità, più fugace ma non per questo meno importante, di percepire in modo diverso gli spazi della quotidianità grazie a un intervento murale. In questo senso l’arte non solo può ma deve avere una funzione sia privata che pubblica, e il mio lavoro è sempre guidato da questa consapevolezza.

Cosa c’è in questo momento sulla tua scrivania?

Troppe idee iniziate che aspettano di essere finite!

Dimmi tre cose che hai visto, letto e sentito nell’ultimo periodo che vorresti assolutamente consigliarci.

What we do in the shadows, Le Schegge di Bret Easton Ellis, Power Pizza Podcast.

A cosa stai lavorando in questo momento?

A far crescere mia figlia!

Comunicatrice seriale, laureata in Scienze Antropologiche e Mass Media e Politica, ha sempre cercato ispirazione nel mondo delle arti e della cultura, fotografia e editoria. Scrive su Picame dal 2021.

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