Ostinato Sguardo: intervista a Gianluca Folì sui suoi primi vent’anni nel mondo dell’illustrazione

Un libro in cui Gianluca Folì tratteggia la sua vita da illustratore con sincerità e ostinazione, poetica e passione, dialogando su alcuni concetti cardine del mestiere insieme a dodici amici e colleghi, che hanno voluto riflettere insieme a lui in questa monografia corale

Tra le pagine di Ostinato Sguardo, il progetto editoriale di ILIT, ritroviamo le parole di art director come Cristiano Guerri, Angelo Rinaldi e Luca Pitoni; degli illustratori Guido Scarabottolo, Shout e Ale Giorgini; degli scrittori Enrico Iannello e Simone Tempia, degli agenti Sandra Lopez e Silvia Meucci e poi di Giulia Mirandola, ricercatrice iconografica, e di Paolo Dordi, amico di Gianluca.

“Cosa c’è di più bello dei tentativi? Come si scopre qualcosa di nuovo? Come ci si scopre originali invece di copie? Tentativi. […] Perché, per quelli come noi, la felicità sta lì. In quella matita che passa e viene cancellata finché non traccia la curva perfetta o in quella frase da riscrivere perché non fila come dovrebbe”

Ostinato Sguardo, cover

Quante cose si possono imparare in vent’anni di carriera? Gianluca Folì unisce e abbraccia gli insegnamenti personali e artistici e li restituisce con generosità nei suoi lavori, dove immancabilmente compaiono le sue emozioni e il suo vissuto, sempre alla giusta distanza. Con lui abbiamo parlato della nascita e del futuro di Ostinato Sguardo, delle porte in faccia che fanno bene, di quel potere creativo suscitato dal lasciarsi prendere dalla noia e del ritorno in quei luoghi che, alla fine, ci stavano solo aspettando.

Ciao Gianluca e bentornato su Picame. Ostinato Sguardo ripercorre, insieme a una decina di amici e colleghi, i tuoi vent’anni di carriera nel mondo dell’illustrazione. Come è nata l’idea?
L’idea embrionale del progetto nasce dalla volontà di creare un portfolio cartaceo. Ho chiesto una mano a Filippo La Duca perché mi piace come lavora sulla tipografia e sugli spazi e mi sembra molto vicino al mio modo di concepire le immagini impaginate. Filippo mi ha proposto di trasformare il portfolio in libro e la cosa mi è piaciuta molto. Fin dall’inizio ho cercato di capire se si potesse concretamente realizzare una narrazione interessante, ci siamo detti: “non ci metteremo mica due anni a farlo, giusto?”. E poi così è effettivamente stato, pandemia inclusa. Io però l’ho identificata come una cosa buona, perché grazie a quello stop forzato abbiamo messo a fuoco meglio quello che poi è stato trasportato nelle pagine del libro.

Ostinato Sguardo, pagg. 68-69, tavole realizzate per “In viaggio con Lloyd

Nel primo capitolo del libro c’è un discorso interessante sul concetto di noia e di come è stata per te fondamentale per crescere e sviluppare un linguaggio personale. Credi che oggi sia ancora possibile annoiarsi?
Sicuramente. Trovo che la noia sia o l’eccesso del niente o l’eccesso del troppo e avendo a che fare constantemente con una grande quantità di immagini e di informazioni, che ti scelgono più che essere scelte, alla fine mi trovo a prestare attenzione a mille cose, quando invece preferirei concentrarmi su una sola e approfondita. Come nelle fasi iniziali dei progetti importanti, dove c’è bisogno di molta creatività. Cerco di evitare di leggere libri e fumetti o seguire serie perché non voglio che quei mondi interferiscano con il mio. Ed è qui che arriva la noia, perchè focalizzo cosa disegnare, senza altri stimoli, fino a trovare la mia soluzione. In questa fase creativa reimparo la scoperta e provo delle sensazioni nuove e conosciute allo stesso tempo. Tutto questo nel mio processo è perfettamente chiaro ma non è facile spiegarlo a parole.

Hai ben raccontato la tua routine lavorativa e l’importanza del tempo dedicata ad ogni fase, dall’elaborazione dell’idea allo sketch, fino all’illustrazione definitiva. Quale parte ti entusiasma di più?
Il passaggio successivo all’ok del secondo sketch, quello che ti porta al definitivo. Per me è la parte più emozionante, perché tutto quello che prima è accennato o semi risolto ha bisogno poi della sua realizzazione concreta, di essere veramente messo a fuoco, e lì davvero non so cosa esce e se esce come l’avevo immaginato e sentito. Dopo tutti questi anni rimango ancora nella zona sospesa e incerta. È molto bello.

Tavola realizzata per il Calendario Epson 2021

Quando hai capito che era arrivato il momento per te di cambiare, di sperimentare un differente linguaggio visivo?
Direi all’inizio, quando ricevevo porte in faccia dagli agenti e puntavo soprattutto alla rappresentanza estera perché il mercato qui in Italia non era molto forte e volevo lavorare in America o nel resto dell’Europa. Non ricevevo mai feedback positivi e allora ho ragionato sulle motivazioni e a come mi approcciavo all’immagine e cioè in un modo troppo tecnico e accademico, mancando di personalità. All’epoca ero ancora solo un bravo esecutore. Ho capito che serviva più Gianluca e meno matite e acrilici. Mi guardavo intorno, soprattutto in America, e capivo che alcuni linguaggi devono appartenere al tempo in cui vivi. Io ero molto anacronista, il che mi rendeva per lo più anonimo, e quindi ho trovato lo stimolo per rimettere tutto in discussione, tra tanti alti e bassi. La formazione classica della storia dell’arte mi ha aiutato a capire che ogni cosa che studiamo è attuale per il periodo a cui si riferisce, quindi se volevo fare l’illustratore in campo commerciale dovevo per forza adeguare il linguaggio e lo stile estetico al contemporaneo.

– Leggi anche: Gianluca Folì ha realizzato il primo calendario Epson interamente dedicato all’illustrazione 

Oggi il tuo studio si concentra principalmente su come poter comunicare quello che intendi esprimere e di come influenzare il lavoro con il tuo vissuto. Come riesci a farlo?
Molto esce da solo, naturalmente. Spesso nei definitivi mi ritrovo quello che sto vivendo o quello che stavo vivendo poco prima e tutto questo trova la strada nel linguaggio migliore, cioè quello non verbale. Quando so che posso gestire una commissione in modo più libero vado a ricercare se è necessario inserire nel soggetto una mia esperienza personale. Bisogna sempre capire se è una giusta analogia o se la stai forzando solo perché vuoi proprio inserirla, ed è qualcosa che senti a livello emotivo, di pancia. Ad esempio mi viene in mente l’immagine di Alfredino, quello è un lavoro totalmente basato sull’empatia della ricerca e dell’essere ricercato, non sono caduto in quel pozzo ma conosco benissimo quel tipo di sensazione.

Alfredino, illustrazione realizzata per la copertina del libro “Alfredino, Laggiù” di Enrico Iannello per Feltrinelli. Il libro parla dell’incidente di Vermicino, accaduto il 10 giugno 1981 e che vide il piccolo Alfredo Rampi detto Alfredino cadere in un pozzo artesiano. Dopo quasi tre giorni di inutili tentativi di salvataggio il bambino morì dentro il pozzo a una profondità di circa 60 metri.

Cosa hai visto, letto, ascoltato nell’ultimo periodo che ti ha colpito e che vorresti consigliarci?
Una cosa che mi ha molto colpito e non me l’aspettavo è stato Dune, il film. Ho letto tutti e sei i libri quando ero ragazzo, più volte, e temevo quando ho saputo della sua trasposizione cinematografica ma mi sono ricreduto, soprattutto per la sua mancanza di voler compiacere tutti gli spettatori. Ho molto riflettutto sul concetto di riuscire a mandare un messaggio con lo stile visivo giusto che riesca a perdere il senso del suo tempo rimanendo moderno. Ho rivissuto le stesse emozioni provate la prima volta leggendo quei libri. Poi ti direi gli ultimi viaggi: tornare a Torino dopo tanto tempo, rivedere Brescia con gli amici, passare per l’Alto Garda dove ho lavorato spesso e rivivere quei posti che nell’ultimo periodo avevo relegato solo alla memoria o alle foto. Questo mi ha dato una spinta enorme e mi sono reso conto che le percezioni lontane sono state delle intuizioni potenti quando non avevo esperienze tangibili e potevo lavorare solo con i ricordi. Tornare a viaggiare non lo sentivo così impellente però nel momento in cui l’ho fatto ho capito che ne avevo estremamente bisogno.

Ostinato Sguardo, pagg. 92-93, “Werus“, “Dieci donne
Ostinato Sguardo, pagg. 94-95, “Las dos Fridas

Ostinato Sguardo, da questa estate sta girando l’Italia tra presentazioni e incontri. Quali sono i prossimi appuntamenti in programma?
Abbiamo di sicuro una nuova tappa entro l’anno a Milano, dopo aver fatto la prima presentazione al BASE, e poi il prossimo anno puntiamo a Roma, Venezia, Bologna, Firenze e Lecce. L’idea è quella di organizzare questi incontri con gli amici e i colleghi presenti nel libro, e non solo, per poter dialogare su più aspetti.

A cosa stai lavorando in questo momento?
Sto lavorando a un nuovo progetto corale per un cliente molto speciale (non posso ancora rivelarlo). Un soggetto interpretato da più mani in realtà, diviso in quattro tavole per tre illustratori: io, Riccardo Guasco e Francesco Bongiorni.

Ostinato Sguardo, pagg. 46-47, “La zecca e la rosa
Altre tavole realizzate per il Calendario Epson 2021. Gianluca ce ne aveva parlato in maniera approfondita in questa intervista 
Illustrazione per “La Bambina che parlava ai libri” di Stefano Benni per Feltrinelli
Comunicatrice seriale, laureata in Scienze Antropologiche e Mass Media e Politica, ha sempre cercato ispirazione nel mondo delle arti e della cultura, fotografia e editoria. Scrive su Picame dal 2021.

Iscriviti alla newsletter

Ogni bimestre riceverai una selezione dei nostri articoli.

Iscrivendoti dichiari di accettare la nostra Privacy Policy