Morbidezza a tinte forti e nostalgia anni ’90: intervista a Giorgia Brugnoli 



Le illustrazioni di Giorgia Brugnoli sono rotonde, generose, morbide, sgargianti e felici: un po’ come l’infanzia di un ventennio fa quando ci si vestiva comodi e colorati, con occhiali spigolosi, accessori fuori dagli schemi e si bevevano bibite dalle tonalità improponibili.

Se siete fan degli anni ’90 non potrete non amarla. Ogni tratto riflette una parte della sua personalità, ed il suo immaginario ci è familiare, inserito alla perfezione in quel linguaggio visivo comune e nostalgico che strizza l’occhio alla poliedrica Grande Mela, scenario collettivo dei nostri sogni a stelle e strisce.

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Ho fatto quattro chiacchiere con lei per togliermi qualche curiosità e per capire come si vive d’arte dall’altra parte del mondo. Le parole di Giorgia sono ricche d’ispirazione e spingono a fare quel passo in più per non rinunciare alle proprie ambiziose intuizioni e a coltivare, con dedizione e sacrificio, le passioni di quando si era bambini. Sono sicura che vi verrà voglia di riaprire quel famoso cassetto e di tirare fuori qualche desiderio assopito.

Nome e cognome: Giorgia Brugnoli
Data di nascita: 9 Giugno 1990
Professione: illustratrice e Art Director
Luogo di residenza: Brooklyn, NY
Sito web: www.giorgiabrugnoli.com
Instagram: giorgia.brugnoli

Ciao Giorgia e benvenuta su Picame. Iniziamo con una breve introduzione per i nostri lettori: chi sei, da dove vieni e che cosa fai.
Ciao! sono Giorgia B. e vengo da Roma, ma vivo e lavoro a New York dal 2011. Sono art director di giorno e illustratrice di notte, con l’obiettivo di invertire presto i due ruoli. L’illustrazione è il linguaggio che mi identifica da quando sono piccola, sono sempre stata la bambina a cui si chiedeva di aiutare a disegnare le cose. L’arte è stata senza dubbio l’unica costante della mia vita fino ad oggi, la coerenza sempre presente in dosi diverse in diversi periodi, ma che non è mai stata abbandonata.

Raccontaci come sei approdata a Brooklyn e in che modo questa esperienza ha influenzato la tua arte ed il tuo modo di lavorare.
Quando avevo 10 anni la maestra delle elementari ci portò a vedere una retrospettiva su Keith Haring al Chiostro del Bramante ed è la prima arte di cui ho memoria che mi ha lasciata senza fiato. Da quel giorno raggiungere il suo magnetismo e positività artistici è sempre stata un’aspirazione molto vivida: ripercorrere i suoi passi e trasferirmi a New York era la scelta più sensata, essendo Haring uno dei maggiori esponenti della scena artistica newyorkese degli anni Ottanta. Questo obiettivo mi ha sempre fatta sentire “diversa” a Roma, in quanto non riconoscevo una dedizione simile in tanti miei coetanei e cercavo un posto dove questa passione potesse fiorire e avesse supporto. Perciò dopo lo IED a Roma ho cercato lavoro qui e sono rimasta. L’arte è in generale molto accessibile a New York e l’esposizione costante a musei, mostre e gallerie diversi mi ha ispirata a produrre sempre di più, a sperimentare, studiare e a migliorarmi come artista per arrivare a uno stile definito. Il contatto con altri artisti emergenti americani mi ha insegnato la dedizione, e che anche con un lavoro full time necessario per mantenersi si può e si deve trovare il tempo da investire nella carriera dei sogni, anche se questo vuol dire iniziare a disegnare tutti i giorni alle 9 di sera dopo una giornata di 8-10 ore in ufficio, o svegliarsi alle 6 per finire un’illustrazione prima di andare a lavoro. La solitudine tipica di questa città mi ha invece insegnato la devozione per l’arte, che mi ha salvata innumerevoli volte in momenti di tristezza, o quando mi mancava casa, ma anche dalla noia quando non potevo permettermi di andare a cena fuori o fare serata con gli amici. Definirei il mio modo di lavorare molto resiliente.

Adoro la scelta e l’utilizzo dei colori. Quali sono le tue fonti di ispirazione?
Grazie mille! La scelta dei colori è nostalgica come i soggetti che spesso disegno: mia madre ci ha spesso vestite Benetton negli anni Novanta e per qualche motivo i colori e le illustrazioni di quelle magliette, felpe, pigiami, mi sono sempre rimasti impressi. Poi anni fa ho fatto una ricerca e ho identificato le combinazioni che più si avvicinavano al guardaroba di quel periodo della mia vita, e da quel momento ho sempre usato quelle. Sono i colori che uso anche oggi nel mio abbigliamento, se mi vedessi di persona diresti che mi vesto come le mie illustrazioni.

Dimmi tre cose che hai visto, letto e sentito nell’ultimo anno che vorresti assolutamente consigliarci.
In the Mood For Love di Wong Kar-wai, un film ambientato a Hong Kong, una storia d’amore platonica e un’esecuzione sublime; Ways of Seeing di John Berger, una serie di saggi scritti negli anni Settanta che esplora i modi in cui le condizioni sociopolitiche di un luogo influenzano l’arte e la nostra percezione di essa; la raccolta di composizioni al pianoforte di Emahoy Tsegué-Maryam Guèbrou, che trovo davvero bella e rilassante.

Cosa c’è ora sulla tua scrivania?
Innumerevoli dispositivi elettronici, due Teste di Moro da Noto adibite a porta penne, crema per le mani, taccuini vari, una stampa di Alex Katz, una candela che mi ricorda casa, fiori secchi in un vasetto acquistato per $3 a un mercatino di Philadelphia anni fa, e una lampada fatta a mano da un artista che mi piace.

Qualche progetto per il futuro che puoi già anticiparci?
Un libro per bambini in collaborazione con una cara amica. Un progetto personale che spero diventi qualcosa di più!

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Comunicatrice seriale, laureata in Scienze Antropologiche e Mass Media e Politica, ha sempre cercato ispirazione nel mondo delle arti e della cultura, fotografia e editoria. Scrive su Picame dal 2021.

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